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Si adoperano in genere quelle di pollo, per due regioni: perché sono le più facili da trovare e perché sono di larghezza ideale.
Rappresentano l'esca invernale per eccellenza e vi si insidiano particolarmente i cavedani, anche se pure le anguille le gradiscono.
Il pezzo di interiore può essere impiegato a fondo ed alla passata: col primo sistema deve essere di una lunghezza di 10-15 centimetri, col secondo invece basterà di 5 centimetri. L'innesco è un po’ elaborato; occorre infatti spingere amo e filo all'interno di questa esca tubolare, fino a che l'amo non arrivi ad un paio di centimetri dall'estremità.
Per ottenere ciò, occorre aiutarsi con un bastoncino di legno che, infisso sulla punta dell'amo, si troverà in posizione parallela al nylon.
Naturalmente ad operazione conclusa il bastoncino si sfila e si butta via.
Il pezzetto di budella inoltre, per rimanere nella posizione esatta, ha bisogno di essere fermato in alto con un cappio, fatto con la stessa lenza, uguale a quello che si fa per fissare il filo in cima al vetrino della canna fissa. Si deve badare che durante la manipolazione, le interiora non perdano tutto il contenuto che, sprigionando un forte sapore, esercita grande attrazione sui pesci.
Pescando a fondo, monteremo un amo n. 8 a gambo lungo, di tipo fine e dritto. È preferibile fine e dritto, in quanto con un'esca quasi priva di spessore e morbida, l 'amo può essere avvertito facilmente!
Per la pesca alla passata, amo con le solite caratteristiche, ma del n. 10.
Per il sistema a fondo è meglio che il fiume sia in leggera piena e porti acqua torbida; per la passata al contrario risulta proficua l'acqua chiara e di livello normale. Tra le interiora c'è un piccolo organo da tenere in massima considerazione: la milza, detta volgarmente "pallino".
Più che mai formidabile per il cavedano, la milza si inama col sistema della cucitura, vale a dire eseguendo per due o tre con l'amo lo stesso lavoro che si fa con l'ago quando si cuce. Per il pallino, amo a gambo corto, del n. 12, fine, bronzato e storto. Un amo forgiato sfalderebbe questa fragile esca. È preferibile usare la milza di pollo, nella pesca alla passata.
Sia la budella che il "pallino" necessitano di posti precedentemente pasturati con interiora grossolanamente spezzettate.

È quella che si definisce correntemente pasta nera, e permette di imbattersi, oltre che nelle carpe in tinche (come del resto la polenta di mais), cavedani e barbi, tutti di mole. La pasta di farina di crisalidi rappresenta una validissima alternativa alla polenta gialla nei mesi con caldo torrido.
Per questa esca valgono le stesse regole indicate per la polenta. Anche la preparazione è la solita: si fa bollire la farina bianca e vi si mischia poi la farina di crisalidi.

Questi altri due cereali sono per la verità assai poco impiegati nella pesca, eppure, al pari del granoturco, sono graditi dalla maggioranza dei ciprinidi.
Grano e orzo, precedentemente bolliti per ammorbidirli, permettono notevoli catture di barbi, scardole, cavedani, pighi e pesci minori, come triotti, lasche, ecc.
In genere si innescano due chicchi, a mò di bigattini, su ami n. 16-17.
La cibatura preventiva non è obbligatoria, e c'è chi pastura solo durante la pesca con qualche manciata di chicchi, comunque, abituando i pesci in precedenza si ottengono tutt'altri risultati.

La larva di rana si addice in special modo al grosso cavedano, nei mesi di luglio-agosto, quando cioè al girino sono spuntate le zampette posteriori.
Per farne una buona scorta occorre il solito retino col manico, col quale frugheremo tra la borracina nell'acqua bassa vicino a riva.
Il girino si innesca su un amo fine, brunito, a gambo corto di numero variante tra il 10 e l' 11, pungendolo dove la coda si unisce alla schiena.
È una pesca che si svolge a mezz'acqua o ad una ventina di centimetri dal fondo.
Anche l'anguilla dimostra di gradire il girino, ed in questo caso ci serviremo della normale attrezzatura da fondo.
Prima della pesca conviene preparare un po' il posto col lancio in acqua di poche manciate di girini moribondi o addirittura morti.

Per essere usata come esca, la frutta deve essere molto matura, perciò, di qualsiasi specie essa sia, avremo sempre a che fare con un boccone fragile. L' albicocca ed il fico, sbucciati, sono estremamente morbidi e perché reggano in fondo alla lenza, dopo averne fatti pezzi lunghi 4 o 5 centimetri, larghi 2, occorre passarci dentro l'amo tre volte, facendolo entrare ed uscire. Si usa cioè il metodo della cucitura, che abbiamo già visto per la milza di pollo.
Inoltre si deve lanciare con attenzione, evitando gli scatti bruschi, altrimenti i pezzi del frutto finiranno per terra, dietro le nostre spalle.
Gli ami saranno del n. 9 a gambo corto, fini, di colore bianco per il fico e dorato per l'albicocca.
Altro frutto eccellente per la pesca è la ciliegia. E' preferibile innescarne metà su un amo brunito, dello stesso tipo indicato sopra.
Per appendere all'amo il mezzo frutto, prima lo si trafigge dall'esterno verso
l'interno, facendo uscire l'amo dall'incavo che ospitava il nocciolo, poi si rinfila l' amo nella polpa interna e lo si fa risbucare fuori.
L' uva si innesca in maniera meno laboriosa. Si spinge la curva dell'amo nel foro del chicco fino a sfondare la parte interiore; dopodiché si infila la punta nella buccia.
Logico che stavolta occorre un amo a gambo lungo, e lo sceglieremo della misura 8-9, fine e bronzato.
Le more, sia di rovo che di gelso, danno ottimi risultati nei tratti di fiume con vegetazione a ridosso, dove qualche mora può finire in acqua naturalmente.
Innescheremo more intere su ami n. 9-10-11, a seconda delle dimensioni del frutto, fini, scuri, a gambo corto.
La bacca di sambuco rappresenta un ulteriore asso nella manica per la pesca alla passata in correnti non troppo veloci! Se ne innescano due o tre nere "palline" su amo del n. 10.
Chiudiamo il discorso frutta con l'arancia, fantastica esca invernale. E' l'unico frutto con cui si peschi in inverno, e se ne innesca mezzo spicchio alla volta, dopo averlo in parte sbucciato.
Si usano per l'occasione ami dorati n. 9-10.
La frutta va considerata esca quasi esclusiva per il cavedano, e, come la maggior parte delle esche non vive, richiede una pasturazione da eseguirsi almeno due giorni prima della pesca.

Appartiene all'ordine degli imenotteri, ed ha dimensioni assai maggiori rispetto alle altre formiche.
Trascorre la sua vita in colonie, nelle cavità dei tronchi degli alberi.
A trovare il bosco col tronco giusto, potremmo dirci piuttosto fortunati, poiché la ricerca non è delle più facili.
Se dovessimo avere questa fortuna, ricordiamoci che, dopo aver raccolto formiche in abbondanza, è necessario saperle mantenere efficienti, cioè ben vive e con le ali!
Le ali infatti rappresentano la maggior attrattiva per il cavedano, specie ittica cui questa esca è destinata.
A tale scopo, terremo le formiche alate nella parte bassa del frigorifero, racchiuse in barattoli metallici col coperchio forato, insieme con pezzi del loro legno e molliche di pane inumidite.
La formica alata si può usare tutto l'anno, con punte di maggior profitto in autunno e primavera. Si innesca, pungendola leggermente sulla schiena, davanti alle ali, con un amo n. 13-14, fine, brunito, a gambo corto.

Il migliore risulta il groviera, quello con i buchi, che è molto saporito e tiene saldamente l'amo. Vi si pesca principalmente a fondo ed è appetito oltre modo dai barbi, dalla tarda primavera all'autunno.
Non essendo esca reperibile in natura richiede anch'esso una pasturazione, non preoccupiamoci: non si tratterà di buttare nel fiume qualche chilo di groviera!
Basterà invece procurarsi un bel numero di ciottoli porosi, su cui strisceremo con vigoria avanzi di formaggio groviera, in modo che sapore e particelle si insinuino tra le venature dei sassi.
A questo punto non rimarrà che recarsi sul fiume, e lanciare i sassi nella moderata corrente e fondo ghiaioso che avremo scelto per la pesca!
Il giorno dopo e quelli successivi potremmo tranquillamente piazzare le canne, innescate con cubetti di formaggio di 2x2 centimetri, e attendere fiduciosi.
Per l'innesco del cubetto, si procede come segue: si stacca il finale della lenza dal moschettone, se ne passa la sommità superiore in un grosso ago e si infila l'ago nel pezzo di formaggio.

Anche questi sono ricercati dall'ingordo cavedano, che li apprezza in qualsiasi stagione!
Si innescano pezzetti di dimensioni poco maggiori della milza del volatile, su ami n. 10-11, bruniti e fini.
La pesca deve svolgersi nelle correnti moderate e nei giri d'acqua, in cui, freddo o caldo che sia, il cavedano ama intrattenersi sempre.
Anche il fegatino, per rendere bene, vuole una leggera cibatura preventiva.

Siamo alle prese con un'altra esca non troppo usata, ma non per questo di scarso rendimento. La chiocciola, quella comunissima di colore striato o bianco, è un boccone particolarmente gradito alle tinche, e, per questa ragione, va presentata su lenza da fondo.
Ma non basta: è necessario anche sgusciarla, battendoci sopra, in maniera alquanto delicata, con un sasso, che dovrà solo incrinare il guscio; provvederemo poi con le dita a finire il lavoro.
Sebbene le tinche siano naturalmente abituate a nutrirsi di chiocciole, che non di rado cadono in acqua dai rami, avremo migliori risultati pasturando il posto scelto con qualche manciata di molluschi sgusciati.
Sarà sufficiente iniziare la piccola cibatura due o tre giorni prima della battuta.
Negli stagni e nei laghetti le chiocciole rendono di più che nei fiumi, poiché in ambienti chiusi i pesci hanno a disposizione una minore varietà di cibi.
Innescheremo il mollusco su un amo del n. 5-6, forgiato.
In giornate con calma di vento ed in acque stagnanti, vista la facilità con cui la chiocciola affonda, si può benissimo eliminare la piombatura dalla lenza.

È buono per la pesca quando, ancora acerbo, è morbido ed emette un lattice dolciastro.
Molti pesci lo gradiscono ma se ne fa uso più che altro per cavedani, carpe e tinche.
Per cavedano si pesca alla passata, con ami n. 12-13-14 (a seconda della grandezza del chicco) a gambo corto, storti, fini, dorati.
Si innesca un solo chicco, facendogli entrare l' amo dalla estremità unita alla spiga, appena sotto pelle, e facendolo poi girare in modo che la curva di ferro aderisca a quella del frutto.
Il tipo di amo consigliato si confà pienamente a questa operazione.
Per le carpe e le tinche invece si pescherà a fondo con un amo a gambo lungo, forgiato, storto, n. 6-7 che porterà tre chicchi infilzati dal loro lato più largo.